Dicono di noi sulla rete. Riportiamo una breve intervista apparsa sul sito www.margutte.com – “non-rivista on line di letteratura e altro” (confezionata a Mondovì) – sul “progetto liberospirito”. A testimonianza che la frequentazione del blog e del sito sa suscitare interesse.
Federico Battistutta e l’anarchismo religioso ( a cura di Attilio Ianniello).
Puoi presentarti?
Sono nato a Catania, nel 1956, da genitori friulani, migranti in direzione contraria rispetto ai flussi umani che in quegli anni si accalcavano verso il nord. Ero poco meno che bambino quando pure noi ci siamo trasferiti a Milano, città dove mi sono formato (laurea in filosofia alla Statale; diploma in lingue orientali all’Is.M.E.O.; formazione psicologica secondo la psicosintesi di R. Assagioli). Insofferente alla cosiddetta “Milano da bere”, da circa vent’anni ho lasciato la città. Attualmente vivo con la mia famiglia sui colli dell’Appennino emiliano. Mi riproduco socialmente come insegnante di Lettere nella scuola secondaria.
Quando ti sei avvicinato a tematiche spirituali e religiose?
Risale ai primi anni Ottanta. Gli anni Settanta, come molti, li ho vissuti proiettato all’esterno, nell’impegno politico e sociale. Con la fine di quel ciclo di lotte, negli anni reaganiani e tatcheriani del riflusso, la cosa migliore da fare mi sembrava fosse elaborare e riflettere su quanto accaduto. Nell’area politica a cui facevo riferimento si era data particolare enfasi al ruolo della soggettività. Allora mi son chiesto cosa fosse questa soggettività: era un dato non ulteriormente analizzabile o un costrutto da esplorare e conoscere? Mi sono rivolto allora al “lavoro su di sé” (è un’espressione dello scrittore francese René Daumal) attraverso pratiche psicologiche (perlopiù a base esperienziale e corporea) e meditative (iniziando con lo yoga e approdando allo zen). Si è allora spalancato un mondo, quello dell’esperienza religiosa. Anni dopo, leggendo Psicologia e religione di Jung, trovai conferma di ciò, laddove si afferma che per l’uomo moderno non c’è altra via d’accesso alla religione se non attraverso la psicologia. Comunque sia, per me, è andata così.
Quali sono le categorie centrali del tuo pensiero religioso?
Sono convinto che stiamo attraversando un “periodo assiale” (il termine venne usato da K. Jaspers) in cui ha luogo una rottura epocale dove si dissolvono i punti di riferimento rimasti in vigore per secoli. Questo non riguarda solo i paradigmi della religione, ma taglia trasversalmente ogni campo del sapere (politica, economia, arte, ecc.), così come le nostre stesse vite. Per quanto riguarda il mio rapporto con la religione sono convinto che il ruolo delle istituzioni religiose, per quanto riguarda l’Occidente (ma un Occidente che sta ormai inglobando tutto il pianeta!), si stia esaurendo. Ma con la fine delle Chiese (che altro non sono se non fenomeni storici, contingenti) non finisce la religione, anzi si aprono possibilità nuove. L’homo religiosus viene prima e dopo le religioni. Mi piace chiamare questa prospettiva “anarchismo religioso” per indicare un’esperienza religiosa libera, senza gerarchie, senza dogmi, magari senza Dio…
Qual è l’obiettivo del sito “Liberospirito”?
L’idea che orienta il sito (http://www.liberospirito.org) è quella di coniugare religione con libertà, in un campo dove l’obbedienza (finanche la cieca obbedienza) è reputata ancora una virtù. Il cuore del sito è la sezione “Archivio futuro” che è una sorta di piccola biblioteca on line. Si possono consultare e scaricare materiali su autori e tematiche centrali per l’esperienza religiosa contemporanea. Fra cui: l’anarchismo religioso, il rapporto tra mistica e politica, il pluralismo e il dialogo interreligioso, l’ecoteologia (la relazione tra religione e ambiente), la teologia animale (la religione in una prospettiva animalista e antispecista), le teologie di genere (da quelle femministe alle più recenti teorie queer), gli stati modificati di coscienza (un settore chiamato da alcuni antropologi “enteogenesi” – trovare dio entro sé –, e da altri “teologia clinica”, come nel caso di F. Lake, psichiatra e pioniere del counseling pastorale). Il sito ha oltre cinque anni di vita. Ad esso si affianca da alcuni anni un blog (http://liberospirito.altervista.org/) in cui si cerca di dibattere su questioni di attualità, come, ad esempio, la crisi economico-finanziaria, le guerre in corso, la questione dell’eutanasia, l’insegnamento delle religione a scuola, le iniziative alternative che stanno sorgendo in giro per il mondo.
L’articolo che segue, di Manlio Dinucci e apparso giorni fa sul “Manifesto”, illustra molto bene cosa intenda l’attuale premier in carica per lavoro, progresso, cooperazione internazionale e, soprattutto, promozione della pace nel mondo. Non c’è che dire. Signori, è il nuovo che avanza…
«È il futuro», ha annunciato orgogliosamente il premier Renzi, inaugurando insieme alla ministra della difesa Pinotti il nuovo stabilimento della Piaggio Aerospace a Villanova d’Albenga (Savona), definito dai dirigenti dell’azienda un centro di eccellenza che permette di «mantenere il ruolo di global brand nell’aviazione d’affari acquisendo in parallelo quello di player mondiale nel settore difesa». In altre parole, alla produzione di aerei di lusso per superricchi ed executive di multinazionali, la Piaggio Aerospace (nuova denominazione di Piaggio Aero) unisce quella di velivoli militari, come il pattugliatore multiruolo Multirole Patrole Aircraft e il velivolo a pilotaggio remoto P.1HH HammerHead.
Su quest’ultimo punta l’azienda per affermarsi nel settore militare. È un drone (velivolo senza pilota) di nuova generazione, progettato per una vasta gamma di missioni. Con una lunghezza e una apertura alare di circa 15 metri, e un peso massimo al decollo di oltre 6 tonnellate, il velivolo può volare per oltre 15 ore con un raggio d’azione di 8000 km, manovrando sia in modalità automatica che pilotato da una stazione terrestre. Con i suoi sofisticati sensori può individuare l’obiettivo, anche in movimento, fornendo le coordinate per l’attacco aereo o terrestre, o colpendolo direttamente con missili e bombe a guida di precisione. È quindi un sistema d’arma ideato per le guerre di aggressione in distanti aree geografiche.
Così l’Italia «si toglie di dosso la muffa», ha dichiarato Renzi nel discorso allo stabilimento della Piaggio Aero-space, dove accanto al palco troneggiava un modello del nuovo drone, intendendo sicuramente per «muffa» l’Art. 11 della Costituzione sul ripudio della guerra.
Quella della Piaggio Aerospace è una «storia da raccontare», ha aggiunto Renzi, poiché è un’azienda che sembrava finita ma è ripartita. Come abbia fatto lo si capisce dalla composizione del suo capitale sociale: esso è detenuto per il 98,05% dalla Mubadala Development Company, compagnia dell’emirato Abu Dhabi presieduta da Sua Altezza lo sceicco Mohamed Bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle Forze armate. L’1,95% appartiene all’ing. Piero Ferrari (figlio di Enzo, fondatore della Scuderia di Maranello), passato dalle auto da corsa agli aerei da guerra: è stato sotto la sua presidenza dal 1998 al 2014 che la Piaggio Aero, oggi Piaggio Aerospace, è entrata nel settore militare.
Quindi l’azienda che Renzi indica all’Italia come fulgido esempio da seguire non è più italiana, ma appartiene quasi interamente alla famiglia dell’emiro di Abu Dhabi, il maggiore dei sette Emirati arabi uniti. «La nostra relazione di amicizia con gli Emirati arabi uniti – ha sottolineato Renzi nel suo discorso – non nasce semplicemente dal fatto che Mubadala è nel capitale di Piaggio o che Ethiad (altra compagnia degli Emirati) è nel capitale di Alitalia, ma nasce da un’idea profonda di condivisione politica».
Nessuno ne dubita: gli Emirati, come l’Italia, sono legati a doppio filo agli Stati uniti e alla rete delle loro basi militari. Per questo a Washington, e di conseguenza a Roma, si passa sotto silenzio il fatto – documentato dal Rapporto 2014 di Human Rights Watch – che ad Abu Dhabi e negli altri emirati il potere è concentrato per via ereditaria nelle mani delle famiglie regnanti, mentre partiti e sindacati sono considerati illegali, i dissidenti vengono imprigionati e torturati, gli immigrati (che costituiscono l’88,5% degli abitanti) schiavizzati.
Sarà questo, anche per l’Italia, il «futuro» di cui parla Renzi?
Manlio Dinucci
Fra le tante segnalazioni che facciamo (convegni, conferenze, libri, mostre, etc.) finora non ci è mai capitato di indicare altri blog. Forse perchè ce ne sono tanti, troppi, e quindi non è cosa facile districarsi. Comunque sia, dentro questo cyber-mare-magnum, ve ne sono diversi validi e interessanti, in sintonia con queste pagine. Cominciamo allora col segnalarne uno.
Si chiama arte e natura (http://artenatura.altervista.org) e si occupa, per l’appunto, del rapporto tra arte e natura perlustrando varie piste. L’ultimo post che possiamo visionare è dedicato nello specifico al rapporto tra arte e religione, a partire dalle ricerche che da diversi anni compie Emmanuel Anati. Non può non interessarci.
Secondo lo studioso – che, fra le altre cose, ha portato alla luce la civiltà camuna – arte e religione nascono da un fondo arcaico comune, come prodotti di una stessa matrice esperienziale e cognitiva. Infatti sembra che l’arte e le espressioni religiose dei primordi si accompagnino intimamente. L’uomo, nel medesimo momento in cui emergevano in lui quelle domande di senso che poi non lo hanno mai abbandonato, è diventato anche artista; e probabilmente l’attività che esprime e produce ciò che noi oggi denominiamo arte non è una mera capacità in mezzo a tante altre, ma piuttosto manifesta un’esigenza della natura stessa dell’uomo. Nell’arte troviamo cristallizzate idee e messaggi il cui substrato religioso appare evidente o domanda con forza di essere evidenziato. Quanto ci sia bisogno oggi di ritrovare questo legame – ritrovare quell’abbraccio lontano fra arte e religione – al di là del proliferare di ideologie artistiche e/o religiose è dire solo una verità. Sia chiaro: non per coltivare impossibili istanze regressive, ma per esprimere con passione una struggente nostalgia rivolta al futuro.